Categoria: Biografie

  • I risultati di uno studio Usa pubblicato su “Clinical Chemistry” dopo l’analisi di una ciocca di capelli del compositore

    Dopo 200 anni, la scoperta di sostanze tossiche in due ciocche di capelli di Ludwig van Beethoven (1770-1827) potrebbe finalmente risolvere il mistero della sordità del leggendario compositore, che si manifestò quando ancora non era trentenne: sarebbe stata causata dall’alta concentrazione di piombo nel sangue, che avrebbe assunto bevendo continuamente vino di scarsa qualità, dove veniva aggiunto per renderlo più gradevole. E’ quanto ipotizza un nuovo studio americano pubblicato su “Clinical Chemistry”, che ha anche escluso una teoria popolare: l’avvelenamento da piombo come causa della morte dell’autore della “Nona Sinfonia”.

    Il gruppo di ricerca diretto da Nader Rifai, professore di patologia alla Harvard Medical School, ha accertato altissime dosi di piombo nella capigliatura del compositore, che sarebbe stata identificata come la causa della prematura sordità e dei suoi ripetuti disturbi gastrointestinali e renali. Il risultato delle analisi è stato sorprendente: una delle ciocche di Beethoven aveva 258 microgrammi di piombo per grammo di capelli e l’altra 380 microgrammi. Un livello normale nei capelli è inferiore a 4 microgrammi di piombo per grammo. I capelli di Beethoven presentano anche livelli di arsenico 13 volte superiori alla norma e livelli di mercurio 4 volte superiori alla norma. Ma le elevate quantità di piombo, in particolare, potrebbero aver causato molti dei suoi disturbi.

    Il gruppo di ricerca ha recentemente autenticato diverse ciocche di capelli del compositore, nell’ambito di un progetto di sequenziamento del genoma di Beethoven. Tra queste c’erano due ciocche di capelli, note come ciocche Bermann e Halm-Thayer. Entrambe le ciocche erano precedentemente in possesso di Alexander Wheelock Thayer, un famoso studioso di Beethoven. La ciocca Halm-Thayer è in particolare l’unica ciocca di capelli che ha una catena di custodia completamente documentata, passando da Beethoven al compositore austriaco Anton Halm, prima di entrare a far parte della collezione di Thayer. Le ciocche di Bermann e Halm-Thayer sono state sottoposte a nuove analisi e hanno rivelato concentrazioni di piombo circa 64 e 95 volte superiori al normale contenuto di piombo nei capelli. Utilizzando formule costruite dai centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie, i ricercatori hanno stimato che la concentrazione di piombo nel sangue di Beethoven sarebbe stata probabilmente compresa tra 69-71 µg/dL (microgrammi per decilitro). “Si tratta di un livello molte volte superiore a quello normale per gli adulti ed è associato a vari disturbi gastrointestinali e renali, oltre che a problemi di udito. Tuttavia, questi livelli non sono abbastanza elevati da essere considerati l’unica causa della morte del compositore”, ha detto il dottor Paul Jannetto, direttore del laboratorio di ricerca.

    David Eaton, tossicologo e professore emerito dell’Università di Washington che non ha partecipato allo studio, ha dichiarato al “New York Times” che i problemi gastrointestinali di Beethoven “sono del tutto coerenti con l’avvelenamento da piombo”. Per quanto riguarda la sordità di Beethoven, ha aggiunto, “alte dosi di piombo colpiscono il sistema nervoso e potrebbero aver distrutto l’udito. “Se la dose cronica sia stata sufficiente a ucciderlo è difficile da dire”, ha aggiunto il dottor Eaton.

    Nessun studioso suggerisce che il compositore sia stato avvelenato deliberatamente. Ma Jerome Nriagu, esperto di avvelenamento da piombo nella storia e professore emerito dell’Università del Michigan, ha affermato al “New York Times” che nell’Europa del XIX secolo il piombo era usato nei vini e negli alimenti, oltre che in medicine e unguenti. Una probabile fonte degli alti livelli di piombo di Beethoven era il vino a buon mercato. Il piombo, sotto forma di acetato di piombo, chiamato anche “zucchero di piombo”, ha un sapore dolce. All’epoca di Beethoven veniva spesso aggiunto al vino di scarsa qualità per renderlo più gradevole. Il vino veniva anche fatto fermentare in bollitori saldati con il piombo, che si sarebbe disperso con l’invecchiamento del vino, ha detto Nriagu. Inoltre, ha aggiunto, i tappi delle bottiglie di vino venivano imbevuti di sale di piombo per migliorare la tenuta.Beethoven beveva abbondanti quantità di vino, circa una bottiglia al giorno, e più tardi nella sua vita anche di più, credendo che fosse un bene per la sua salute e anche perché ne era diventato dipendente. Negli ultimi giorni prima della sua morte i suoi amici gli davano vino a cucchiaiate. Il suo segretario e biografo, Anton Schindler, descrisse la scena del letto di morte: “Questa lotta per la morte era terribile da vedere, perché la sua costituzione generale, specialmente il petto, era gigantesca. Bevve ancora un po’ del vostro vino Rüdesheimer a cucchiaiate fino alla morte”.

    “Sebbene le concentrazioni rilevate non supportino l’idea che l’esposizione al piombo abbia causato la morte di Beethoven, è possibile che abbia contribuito ai disturbi documentati che lo hanno afflitto per gran parte della sua vita”, ha dichiarato Rifai. “Crediamo che questo sia un pezzo importante di un puzzle complesso e che permetterà a storici, medici e scienziati di comprendere meglio la storia medica del grande compositore”.

    Allora, cosa ha ucciso Beethoven, se non l’avvelenamento da piombo? Recenti studi genomici hanno rilevato che il compositore presentava un forte rischio genetico di malattia epatica, che potrebbe essere stato aggravato dall’uso di alcolici e da una nota infezione da epatite B. Combinando le conoscenze acquisite da questi studi genomici con ulteriori analisi dei capelli del compositore, i ricercatori sperano di restringere una valutazione più precisa del rischio di malattia e della possibile causa di morte.

  • Poco prima di morire, pare avesse esclamato: “«Ahimè», disse, «credo che sto diventando un dio» (gli imperatori venivano divinizzati dopo la morte)”:

    «Durante il suo nono consolato, colpito, in Campania, da leggeri attacchi di febbre e tornato immediatamente a Roma, si recò a Cutilio e nella campagna di Rieti, dove ogni anno era solito passare l’estate. Qui, oltre all’indisposizione che lo affliggeva, si era rovinato anche l’intestino con un’eccessiva quantità d’acqua gelata; nondimeno continuava a compiere, come al solito, i suoi doveri d’imperatore, tanto da ricevere le legazioni perfino mentre stava a letto. Ma, quando un improvviso attacco di diarrea lo ridusse allo stremo, disse che «un imperatore doveva morire in piedi»; e, mentre si sforzava di alzarsi, spirò tra le braccia di quelli che lo sostenevano, il 23 giugno, all’età di sessantotto anni, sette mesi e sette giorni.»
    (Svetonio, vita di Vespasiano, 24)

  • A Ginevra è stata battuta un’asta milionaria per i due gioielli che la regina di Francia aveva messo al sicuro per il suo futuro.

    La casa d’aste Christie’s contava ottimisticamente di venderli a una cifra che si poteva aggirare fra i 2 e i 4 milioni di dollari.

    Ma il misterioso acquirente telefonico che si è aggiudicato i due braccialetti di diamanti della regina di Francia Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena è stato disposto a sborsare 8 milioni di dollari, pur di averli. E così si è conclusa con una cifra record la vendita del 9 novembre 2021 a Ginevra dei due gioielli che da oltre 200 anni erano in mano ai discendenti dell’ultima regina di Francia dell’ancien régime. Nel 1791 la consorte di re Luigi XVI, prigioniera nel Tuileries Palace di Parigi, li aveva avvolti in un panno di cotone e riposti dentro una cassa di legno per affidarli all’ex ambasciatore austriaco a Bruxelles, con una lettera d’accompagnamento in cui gli chiedeva di tenerli da parte in un luogo sicuro, nel caso in cui la situazione fosse diventava drammatica. I bracciali arrivarono a destinazione ma lei non li rivide mai più, perché il 16 ottobre di due anni dopo fu ghigliottinata.

    Negli ultimi tempi c’è un crescente interesse dei collezionisti verso gli abiti e i gioielli della regina sfortunata, ma nessuno immaginava che i due bracciali messi all’asta a Ginevra avrebbero raggiunto la somma di 7,46 milioni di franchi svizzeri, molto più alta della stima iniziale. Chi sia l’acquirente forse non lo sapremo mai, ma deve essere qualcuno ricco quasi – o forse più – di quanto lo fossero i reali all’alba della Rivoluzione francese. Maria Antonietta, che era arrivata in Francia a 14 anni per sposare l’erede al trono, spendeva molto in gioielli e abiti, una passione che la rendeva, insieme al suo carattere infantile e viziato, sgradita al popolo quanto alla nobiltà. Fece realizzare i due braccialetti di diamanti su misura per lei nel 1776, due anni dopo che suo marito era stato incoronato re. Ognuno dei due bracciali è composto da tre fili di diamanti per un totale di 112 gemme, e da una chiusura a barretta in argento e oro. La figlia di Maria Antonietta, Maria Teresa Carlotta nota come Madame Royal, sopravvissuta alla rivoluzione, li ricevette dall’ex ambasciatore dopo la morte di sua madre e di suo fratello e li tramandò alla sua progenie, i cui ultimi membri hanno deciso di metterli all’incanto a più di 200 anni da quel giorno in cui la prima proprietaria li spedì in Belgio. Ora li ammirerà solo un fortunato miliardario che se l’è potuti permettere senza battere ciglio.

  • Napoleone morì 200 anni fa esatti, il 5 maggio 1821, a Sant’Elena, isola sperduta dove venne confinato dagli inglesi. Sono tante le opere a lui dedicate ma tra queste spicca la lunga poesia di Alessandro Manzoni, “Il cinque maggio” nota per il suo verso iniziale “Ei fu. Siccome Immobile”. 

    Riportiamo il testo completo della poesia.

    “Ei fu”, il testo completo della poesia di Manzoni dedicata a Napoleone

    Ei fu. Siccome immobile,
    Dato il mortal sospiro,
    Stette la spoglia immemore
    Orba di tanto spiro,
    Così percossa, attonita
    La terra al nunzio sta,

    Muta pensando all’ultima
    Ora dell’uom fatale;
    Nè sa quando una simile
    Orma di piè mortale
    La sua cruenta polvere
    A calpestar verrà.

    Lui folgorante in solio
    Vide il mio genio e tacque;
    Quando, con vece assidua,
    Cadde, risorse e giacque,
    Di mille voci al sonito
    Mista la sua non ha:

    Vergin di servo encomio
    E di codardo oltraggio,
    Sorge or commosso al subito
    Sparir di tanto raggio:
    E scioglie all’urna un cantico
    Che forse non morrà.

    Dall’Alpi alle Piramidi,
    Dal Manzanarre al Reno,
    Di quel securo il fulmine
    Tenea dietro al baleno;
    Scoppiò da Scilla al Tanai,
    Dall’uno all’altro mar.

    Fu vera gloria? Ai posteri
    L’ardua sentenza: nui
    Chiniam la fronte al Massimo
    Fattor, che volle in lui
    Del creator suo spirito
    Più vasta orma stampar.

    La procellosa e trepida
    Gioia d’un gran disegno,
    L’ansia d’un cor che indocile
    Serve, pensando al regno;
    E il giunge, e tiene un premio
    Ch’era follia sperar;

    Tutto ei provò: la gloria
    Maggior dopo il periglio,
    La fuga e la vittoria,
    La reggia e il tristo esiglio:
    Due volte nella polvere,
    Due volte sull’altar.

    Ei si nomò: due secoli,
    L’un contro l’altro armato,
    Sommessi a lui si volsero,
    Come aspettando il fato;
    Ei fe’ silenzio, ed arbitro
    S’assise in mezzo a lor.

    E sparve, e i dì nell’ozio
    Chiuse in sì breve sponda,
    Segno d’immensa invidia
    E di pietà profonda,
    D’inestinguibil odio
    E d’indomato amor.

    Come sul capo al naufrago
    L’onda s’avvolve e pesa,
    L’onda su cui del misero,
    Alta pur dianzi e tesa,
    Scorrea la vista a scernere
    Prode remote invan;

    Tal su quell’alma il cumulo
    Delle memorie scese!
    Oh quante volte ai posteri
    Narrar se stesso imprese,
    E sull’eterne pagine
    Cadde la stanca man!

    Oh quante volte, al tacito
    Morir d’un giorno inerte,
    Chinati i rai fulminei,
    Le braccia al sen conserte,
    Stette, e dei dì che furono
    L’assalse il sovvenir!

    E ripensò le mobili
    Tende, e i percossi valli,
    E il lampo de’ manipoli,
    E l’onda dei cavalli,
    E il concitato imperio,
    E il celere ubbidir.

    Ahi! forse a tanto strazio
    Cadde lo spirto anelo,
    E disperò: ma valida
    Venne una man dal cielo,
    E in più spirabil aere
    Pietosa il trasportò;

    E l’avviò, pei floridi
    Sentier della speranza,
    Ai campi eterni, al premio
    Che i desidéri avanza,
    Dov’è silenzio e tenebre
    La gloria che passò.

    Bella Immortal! benefica
    Fede ai trionfi avvezza!
    Scrivi ancor questo, allegrati;
    Chè più superba altezza
    Al disonor del Golgota
    Giammai non si chinò.

    Tu dalle stanche ceneri
    Sperdi ogni ria parola:
    Il Dio che atterra e suscita,
    Che affanna e che consola,
    Sulla deserta coltrice
    Accanto a lui posò.

  • La nuova serie TV su casa Savoia, che sarà lanciata nel 2022. si prepara aad esordiire sul set. La serie è una produzione italo francese, che porta le firme di Commission Torino Piemonte, Lume Torino e Les Films d’Ici casa di produzione transalpina. I produttori non nascondono che l’ispirazione sia nata dalla serie ispirata a casa Windsor. Tuttavia, la produzione italiana promette di essere altrettanto intrigante e che il budget messo a disposizione dai produttori non sarà inferiore a quello della produzione Netflix.

    La scrittura della produzione si è arrestata a maggio,rallentando le fasi preliminari della produzione durante la pandemia, ma è ripresa in queste settimane con lo scopo di ultimare le riprese nel 2021 e lanciare il prodotto l’anno seguente. Oltre le vicissitudini della casata sabauda, la serie sarà incentrata sulle gesta di Marie-Jeanne de Nemours, moglie di Carlo Emanuele II.

    Lo show spazierà tra realtà storica e fantasy, e dai dettagli rilasciati finora dovrebbe partire dagli albori del XVII secolo, esplorando la storia di Marie-Jeanne de Nemours. Da orfana, si ritroverà ad essere moglie del duca di Savoia, Carlo Emanuele, diventando Reggente del Regno e Madama Reale (nel 1675). Proprio da quest’ultimo titolo dovrebbe essere tratta la denominazione della serie, anche se al momento sono in molti ad affermare che potrebbe chiamarsi semplicemente “I Savoia”.

    La donna sarà al centro della serie, e verranno raccontate le sue vicissitudini amorose, la sua ostentazione dei giovani numerosi amanti (e la vendetta nei confronti di quelle del defunto marito) ma ampio spazio avrà anche, naturalmente, il filone politico. Verrà infatti mostrato come la Reggente abbia sfidato Luigi XIV (il Re Sole), cercando di affermare a livello internazionale il ruolo dei Savoia. Giocando secondo le sue regole, provò a trasformare Torino in una nuova Atene, dal punto di vista culturale e della conoscenza. Stravolgendo i costumi dell’epoca e i rigidi dettami di corte – provenienti per lo più dalla vicina Francia – sobillerà l’intera città.

    Per la fiction sui Savoia è stato fatto un contest dal titolo semplice ed efficace, I Savoia – La Serie. L’ispirazione viene, sembra facile capirlo, dal successo di operazioni come I Borgia, I Tudor e il più recente, e vicino, I Medici.

    Come si legge nella brochure che raccoglie i progetti finalisti, il contest è stato lanciato nell’autunno 2017 da Film Commission Torino Piemonte, FIP Film Investimenti Piemonte e Regione Piemonte e ha messo in palio 50.000 euro per lo sviluppo dell’idea vincente. Certo pochi per immaginare l’effettiva realizzazione di un prodotto miniseriale.

    Il bando, infatti, richiedeva un concept per una miniserie da 6-8 episodi da 50’ ambientato nei secoli d’oro dei Savoia, tra il XVII e il XVIII, che portano la dinastia dal ducato al titolo regio e segnano l’affermazione a livello europeo. Dal trattato di Cateau-Cambresis del 1559 agli splendenti decenni delle Madame Reali con l’affermazione della dinastia a livello europeo, dal lungo regno di Vittorio Amedeo II e del figlio Carlo Emanuele III all’epoca della Rivoluzione Francese, fino al Risorgimento, con l’Unità Italiana del 1861.

    L’obiettivo dei patrocinatori era quello di promuovere una serie TV di alto profilo, capace di valorizzare la storia del territorio piemontese e il circuito delle residenze reali. E i progetti non sono mancati. Stando a quanto pubblicato dalla FCTP, al bando europeo hanno risposto 247 autori per un totale di 150 concept presentati, di cui il 10% stranieri. Una commissione ha quindi selezionato i 10 progetti più convincenti da presentare al TFF 2018, dove sarebbe stato anche premiato il vincitore.

    “La serie tv “Madama Reale” ha convinto per la capacità di unire la grande epica storica e televisiva con temi e linguaggi di grande attualità. La vita di Maria Giovanna di Nemours viene raccontata nella cornice di una serie di lettere tra una madre e una nipote, che sviluppano apertamente il difficile rapporto tra genere, potere e sentimenti privati; un tema centrale per comprendere l’originalità delle figure storiche delle Madame Reali e che al tempo stesso risuona con sempre maggiore importanza nel mondo contemporaneo”.

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    ENTRA

    Il Museo Frida Kahlo mette a disposizione un tour virtuale che, sfruttando la piattaforma Recorridos Virtuales, offre la possibilità di visitare in tutta calma e gratuitamente l’abitazione di una delle icone dell’arte contemporanea.

    Divenuta casa-museo nel 1958, oggi la Casa Azul è uno dei musei più visitati di Città del Messico.

    Al suo interno tutto è rimasto come allora: nella stanza che l’artista era solita utilizzare di giorno, dopo l’incidente, ci sono ancora il letto e lo specchio, installato sul soffitto affinché si potesse specchiare e realizzare i suoi numerosi autoritratti; nel suo studio pennelli, colori e cavalletti sono immobili e sospesi nel tempo. I colori sgargianti della cucina, gli oggetti e gli utensili artigianali, sono espressione del fortissimo legame di Frida con la tradizione del suo paese natale. Sono rimasti lì anche i medicinali, i corsetti, i gioielli e gli abiti variopinti che amava indossare: in questo periodo di lockdown globale, starete pensando, è impensabile e pressoché impossibile fare un giro all’interno della Casa Azul.

    Non è proprio così: in attesa di poter ritornare a viaggiare, il Museo Frida Kahlo mette a disposizione degli utenti un tour virtuale, entro il quale è possibile esplorare tutte le stanze che compongono la Casa Azul. Partendo dalla sua planimetria, è possibile muoversi all’interno e all’esterno, ammirando gli arredi e alcune tra le opere più significative dell’artista.

     

    Google Arts & Culture

    Scopri di più visitando la sezione “Multimedia” del sito dedicato a Frida Kahlo. Il museo è visitabile anche su Google Arts & Culture.

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    di Monica Ferri

     

    ”Il compleanno”, un olio su tela 81 x 100 cm, ora esposto al MoMA di New York è il titolo dell’opera che Marc Chagall dipinse nel 1915, rappresentando il suo amore per Bella Rosenfeld, che amò per più di trent’anni.

    Un bacio sulle labbra, un uomo con gli occhi chiusi si solleva per raggiungere la sua amata che quasi sorpresa lo guarda ricambiando il bacio. Una stanza sullo sfondo, dove il tempo sembra essersi fermato. Una finestra con le tendine bianche, si intravede la via di una città, mentre su un tavolo sono abbandonati un borsellino, un vassoio con una torta e un coltello. Al centro i due giovani: lei tiene tra le mani un mazzo di fiori, entrambi sospesi in aria, come appena librati in volo, uniti unicamente dal bacio.

    Siamo nell’estate del 1915 e quei due innamorati altri non sono altro che Marc e Bella Chagall. Chagall è appena ritornato da un lungo soggiorno a Parigi. Là ha conosciuto i pittori cubisti, da cui ha appreso la libertà di scomporre le immagini e di forzare i confini della prospettiva tradizionale. Ma, soprattutto, è entrato in contatto con il movimento dei Fauves, Matisse in particolare, che gli ha insegnato a raffigurare le emozioni attraverso il colore.

    E quell’estate le emozioni per lui sono tante. È contento di essere rientrato a casa e di riassaporare i colori e gli odori della sua città, Vitebsk (oggi in Bielorussia). Per lui, l’amore e la felicità fanno parte integrante di quel mondo. In quell’estate del 1915 sta finalmente per sposare la sua Bella e dare un lieto fine alla loro storia d’amore. Si sono conosciuti a San Pietroburgo, sei anni prima, lui ventitreenne, lei appena quindicenne: poi si sono rivisti più volte a Vitebsk presso il ponte, entrambi di origine ebree, ma, per il resto, tra di loro c’è un abisso. Non potrebbero essere più diversi, eppure, fin dal primo incontro, tra i due scocca la scintilla: lui racconterà nella sua autobiografia di una giovane dalla pelle d’avorio e dai grandi occhi neri che lo ha affascinato da subito.

    Lei parlerà di un colpo di fulmine per quello strano ragazzo dai riccioli spettinati e lo “sguardo di una volpe negli occhi azzurro-cielo”. Sarà un grande amore di quelli che durano per tutta la vita.

     

  • Il 25 Marzo, data che gli studiosi individuano come inizio del viaggio ultraterreno della Divina Commedia, si celebrerà per la prima volta il Dantedì, la giornata dedicata a Dante Alighieri recentemente istituita dal Governo.
    Il sommo Poeta è il simbolo della cultura e della lingua italiana, ricordarlo insieme sarà un modo per unire ancora di più il Paese in questo momento difficile, condividendo versi dal fascino senza tempo.

    L’appuntamento è per le 12 di mercoledì 25 marzo orario in cui siamo tutti chiamati a leggere Dante e a riscoprire i versi della Commedia. Il Ministero dell’Istruzione inviterà docenti e studenti a farlo durante le lezioni a distanza. Ma la richiesta è rivolta a ciascun cittadino. E le 12 saranno l’orario di punta: le celebrazioni, seppur a distanza, potranno proseguire durante tutta la giornata sui social, con pillole, letture in streaming, performance dedicate a Dante, con gli hashtag ufficiali #Dantedì e #IoleggoDante.

    “Questa prima edizione avviene in un momento particolarmente difficile. Le tante iniziative già previste si spostano sulla rete. Per questo rivolgo un appello agli artisti: il 25 marzo leggete Dante e postate i vostri contenuti. Dante è la lingua italiana, è l’idea stessa di Italia. Ed è proprio in questo momento che è ancor più importante ricordarlo per restare uniti”. Ha dichiarato il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini.

    “Cittadini e scuole, il prossimo 25 marzo, potranno unirsi in un momento alto di condivisione. Riscoprire Dante, tutti insieme, sarà un modo per restare uniti, in un momento così complesso, attraverso il filo conduttore della poesia. So che gli insegnanti stanno già facendo sforzi importanti per portare avanti la didattica a distanza, per restare in contatto con in nostri ragazzi. Il Dantedì può essere una bellissima occasione per ribadire che la scuola c’è, per condividere, sui social o sulle piattaforme delle lezioni online la passione per uno dei testi più importanti della nostra letteratura”, ha dichiarato la Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.

    Il Mibact e il Miur insieme a scuole, musei, parchi archeologici, biblioteche, archivi e luoghi della cultura proporranno inoltre sui propri account social immagini, video, opere d’arte, rare edizioni della Divina commedia per raccontare quanto la figura del Sommo Poeta nel corso dei secoli abbia segnato profondamente tutte le espressioni culturali e artistiche dell’identità italiana.
    Al Dantedì parteciperà attivamente anche la Rai che con Rai Teche ha selezionato le lecturae Dantis interpretate dai maggiori artisti del nostro tempo che saranno programmate in pillole di 30” nelle tre reti generaliste della Rai e su Rai Play e saranno numerosi le trasmissioni nei palinsesti dedicate, curate da Rai Cultura.

    Sul canale YouTube del Mibact e sul sito del Corriere della sera sarà inoltre trasmesso un filmato realizzato appositamente per questa prima edizione del #Dantedì con i preziosi contributi di Paolo Di Stefano, giornalista del Corriere della Sera e promotore della giornata dedicata a Dante, Alberto Casadei dell’Associazione degli italianisti, Claudio Marazzini presidente dell’Accademia della Crusca, Carlo Ossola presidente del Comitato per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante, del linguista e filologo prof Luca Serianni della Società Dante Alighieri, di Natascia Tonelli dell’Università di Siena e di Sebastiana Nobili dell’Università di Ravenna.

  • SIN MIEDO, VIVA LA VIDA!

    La mostra su Frida Kahlo, così come il Museo permanente presso la Palazzina di Caccia di Stupinigi è regolarmente aperta ai visitatori.

    Al fine di adottare cautela e prudenza il servizio sarà gestito con modalità di fruizione contingentata, tale da evitare assembramenti di persone.

    Ricordiamo gli orari della mostra, aperta tutti i giorni:

    dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17.30 e sabato e domenica dalle 10 alle 18.30 (ultimo ingresso consentito un’ora prima dell’orario di chiusura).

    Per info e prenotazioni: 380/1028313 – 011/1924730

    biglietteria@fridatorino.it

    Per le medesime ragioni di sicurezza la direzione della mostra comunica che l’evento speciale programmato per l’8 marzo per la Festa delle Donne è posticipato a data da destinarsi.

    www.fridatorino.itwww.facebook.com/FridaKahloTorino

    Foto di copertina © Nickolas Muray Photo Archives

     

  • Una delle statue simbolo di Torino è quella dedicata al famoso Conte Verde. Dove si trova questo monumento e chi è il Conte Verde?

    La statua del Conte Verde si trova in piazza Palazzo di Città, davanti al palazzo del Comune di Torino, in pieno centro. E’ un monumento eretto in memoria della spedizione in Oriente di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde appunto, mentre è intento a uccidere due rivali.

    Ci molte curiosità legate alla statua del Conte Verde. Innanzitutto non fu realizzata quando Amedeo VI di Savoia era in vita o subito dopo la sua morte, ma diversi secoli dopo e inaugurata solo il 7 maggio del 1853 alla presenza di Camillo Benso Conte di Cavour.

    Perché Amedeo VI venne soprannominato Conte Verde? Si narra che da giovane si distinse in numerosi tornei nei quali era solito sfoggiare armi e vessilli di colore verde. Questi tratti distintivi divennero così famosi da farlo soprannominare Conte Verde. Il colore continuò a caratterizzarlo anche quando salì al trono: anche in quel caso continuò a vestirsi sempre di verde.

    Il Conte Verde lasciò un’impronta indelebile nello stato sabaudo. Riportò il Paese ad un ruolo di egemonia, attraverso importanti campagne militari e una saggia politica. Tuttavia, anche a causa delle imprese militari, dovette sostenere forti spese, tanto da ricorrere a prestiti da parte di banchieri, come nel caso, nel 1373, della cifra di 8.000 ducati, ottenuti da Bonaventura Consiglio e socio, che tenevano banco a Forlì, offrendo come garanzia la sua corona e altri valori. Di questa difficile situazione economica risentirà anche il successore, Amedeo VII.

    Nel 1359 riassorbì la Baronia del Vaud nei domini diretti dei Savoia, acquistandola dalla cugina Caterina di Savoia-Vaud, per una cifra di 160.000 fiorini d’oro.

    Il suo nome rimane ancora oggi legato al cosiddetto Ordine del Collare, oggi Ordine dell’Annunziata. In seguito il Collare dell’Annunziata venne attribuito a tutti coloro che avessero reso alti servigi allo stato: venivano considerati cugini del re.

    L’origine del blu Savoia, colore nazionale italiano, sembra sia legato a Amedeo VI di Savoia. Il 20 giugno 1366, prima di partire per una crociata voluta da papa Urbano V e organizzata per prestare aiuto all’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo, cugino di parte materna del conte sabaudo, Amedeo VI volle che sulla nave ammiraglia della flotta di 17 navi e 2000 uomini, una galea veneziana, sventolasse, accanto allo stendardo rosso-crociato in argento dei Savoia, una bandiera azzurra.

    Non è sicuro che l’uso di vessilli azzurri sia iniziato con Amedeo VI o fosse invece precedente; in ogni caso le più antiche bandiere sabaude pervenuteci, che risalgono al 1589, presentano i colori rosso, bianco (e cioè i colori dello stemma della dinastia) e azzurro. L’azzurro di Casa Savoia, con il passare dei secoli, accrebbe sempre di più la sua importanza fino a diventare, in occasione dell’unità d’Italia (1861), il colore nazionale italiano, tonalità mantenuta anche dopo la nascita della Repubblica Italiana (1946). Una bordatura blu Savoia è stata infatti inserita sull’orlo dello stendardo presidenziale italiano e l’utilizzo della sciarpa azzurra per gli ufficiali delle forze armate italiane e della maglia azzurra per le Nazionali sportive italiane è stato mantenuto anche in epoca repubblicana.

     

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