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APPROFONDIMENTI / Le armature giapponesi

I doni dell’Imperatore

L’ingresso nelle collezioni dei Savoia di due delle tre armature giapponesi complete conservate nell’Armeria è conseguente all’apertura di relazioni diplomatiche, avvenute a seguito della firma del trattato di amicizia e commercio tra il Regno d’Italia e l’Impero giapponese, siglato il 25 agosto 1866 e successivamente ratificato a Edo, l’odierna Tokyo. Le armature B. 53 e B. 54 vennero donate a Vittorio Emanuele II dall’imperatore del Giappone Meiji rispettivamente nel 1869 e nel 1871, a pochi anni di distanza dalla stipula dell’intesa tra i due Paesi. 

Si trattava di doni prestigiosi, come testimoniano la cura nel realizzarle e la scelta dei materiali impiegati, a indicare che erano destinate a personaggi di rango elevato. Le due armature, con le collezioni extraeuropee, vennero allestite nella Rotonda, sala in cui furono sistemate pochi anni dopo anche le raccolte di Vittorio Emanuele II. A differenza della B. 53, montata già nell’Ottocento su un manichino, l’armatura B. 54 è stata riproposta nel suo insieme solamente ora, per sottolinearne l’aspetto unitario e facilitarne una più immediata lettura.

Le armature giapponesi B. 53 e B. 54

L’armatura B. 53, costituita da lamelle in cuoio e metallo laccato e dorato, unite da fettucce di seta azzurre e arancio, è un apparato difensivo leggero utilizzato per lo scontro a piedi (do-maru). Le sue parti, caratteristiche della tradizione militare giapponese tra il XII e il XIX secolo, rispondono alla necessità di garantire, nello stesso tempo, resistenza e libertà di movimento.  L’armatura è esposta insieme alla spada (tachi), indispensabile corredo del samurai: identificata con l’anima stessa del proprietario, era un simbolo del suo onore e del suo stato sociale.

L’armatura B. 54, collocabile all’interno del periodo Edo (1603-1868), è invece il frutto dell’assemblaggio di elementi differenti, ma coerenti tra di loro. Tre stemmi appartenenti a casate diverse sono posti sulla maschera, sulle manopole e sul kabuto (elmo). Quest’ultimo, firmato dell’autore Yoshihisa, è l’elemento più antico e risale al XVI secolo.  Per quanto concerne la corazza, di due secoli dopo, si è di fronte a una hatomune okegawa-do ovvero a una corazza realizzata per un’armatura moderna (tosei gusoku) e composta da lamelle rivettate e attraversate da una piega centrale posta verticalmente. Oltre alla firma dell’autore, sulla corazza sono presenti ideogrammi ageminati che riportano una invocazione alla “grande divinità del monte Fuji”. Quest’armatura è assai differente dalla tipologia do-maru della B. 53 in uso prima della introduzione delle armi da fuoco occidentali in Giappone. Gli altri elementi che compongono l’armatura sono posteriori, tra cui la corazza che presenta in corrispondenza del lato di apertura la firma dell’armaiolo Munenori di Osaka, vissuto almeno due secoli dopo.

 Dal catalogo “Una carrozza e le armi del Re. Le raccolte di Vittorio Emanuele II nell’Armeria Reale” a cura di Giorgio Careddu e Marco Lattanzi, Editris.

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