Il 21 aprile 1924, in una camera d’albergo a Pittsburgh, Eleonora Duse muore sola, lontana dall’Italia, durante una tournée che stava consumando le sue ultime energie. La notizia scuote Gabriele D’Annunzio, che dal Vittoriale degli Italiani invia un telegramma lapidario: «È morta quella che non meritai».
È l’epitaffio di un amore che, tra passioni e ferite, ha segnato la cultura e il costume italiani.
L’incontro di due destini
Quando si incontrano per la prima volta nel 1882, lei è già “la Divina”: una giovane attrice ventiquattrenne dalla recitazione rivoluzionaria, sobria, fatta di silenzi e pause, che conquista i teatri europei. Lui, diciannovenne, è un poeta agli esordi, affascinante e ambizioso. Sarà solo nel 1894 che, dopo anni di scambi epistolari, si incontreranno di nuovo a Venezia: è l’inizio di un sodalizio che travalica l’amore.
«Volli dimenticare tutta l’amara sapienza della vita e godere della lusinga che quegli occhi chiari esprimevano» — Eleonora Duse, lettera privata (1894)
Una musa che investe
Non è solo passione. Eleonora finanzia e interpreta i drammi scritti per lei da D’Annunzio: Francesca da Rimini, La città morta, La Gioconda, La figlia di Iorio. Diventa mecenate del poeta, ne alimenta la fama e ne finanzia i vizi, incarnando un modello di donna artista e imprenditrice ante litteram. In cambio riceve un amore assoluto ma anche crudele.
Il romanzo che ferì il cuore
Nel 1900 D’Annunzio pubblica Il fuoco, un romanzo che racconta in chiave allegorica il loro amore. La Duse vi appare come Foscarina, un’attrice di genio, fragile e devota. L’opera, acclamata dal pubblico, diventa per lei una ferita pubblica: la sua vita privata esposta come romanzo.
Tradimenti e fratture
D’Annunzio, libertino dichiarato, moltiplica le conquiste. Il colpo più duro arriva nel 1904: La figlia di Iorio, scritta per lei, le viene sottratta. Irma Gramatica ottiene il ruolo principale. È il punto di rottura: Eleonora lascia Firenze e scrive al poeta parole definitive.
«Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso… Da anni ti ascolto dirle… Parto di qui domani. A questa mia non c’è risposta» — Lettera di Eleonora Duse, 1904
Ritiro e ritorno
Negli anni successivi Eleonora sceglie il silenzio, lontana dai riflettori. Tornerà sulle scene nel 1921, a più di cinquant’anni, non per nostalgia ma per necessità economiche e per l’amore mai sopito per il teatro. La tournée americana del 1924 segnerà la sua fine: muore il Lunedì di Pasqua, a 66 anni, in una stanza d’albergo di Pittsburgh.
L’ombra eterna al Vittoriale
D’Annunzio, che non le fu accanto, le dedica il busto che ancora oggi veglia sulle stanze del Vittoriale. Coperto da un velo durante le sue sessioni di scrittura, diventa il simbolo del rimorso.
«Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato» — Eleonora Duse
Box di approfondimento: Il busto velato
Al Vittoriale degli Italiani, nella stanza detta “la Zambra del Misello”, un busto di Eleonora Duse osserva in silenzio. D’Annunzio lo copriva prima di scrivere: «Mi guarda troppo». Questo gesto rituale racconta un amore che non smise mai di pesargli sulla coscienza.
Box di approfondimento: Il fuoco, romanzo-simbolo
Scritto nel 1900, Il fuoco consacra D’Annunzio come romanziere e mette a nudo il rapporto con Eleonora. Foscarina è il ritratto letterario della Duse: genio e vulnerabilità, musa e vittima. Il libro è una dichiarazione d’amore e insieme un atto di potere: un amore trasformato in opera.
Eredità di un amore
La storia di Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio non è solo una vicenda sentimentale: è il racconto della nascita del divismo moderno, della relazione complessa tra artista e musa, dell’intreccio tra vita privata e scena pubblica. Oggi, il busto velato e le loro lettere sopravvivono come reliquie di una passione che ha cambiato il teatro e l’immaginario italiano.
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