APPROFONDIMENTI – La regina influencer: Margherita di Savoia, prima first lady dell’Italia Unita.

Fu la prima first lady del Regno d’italia, lanciò nuove mode come una influencer  e si guadagnò un posto d’onore nell’immaginario popolare, tanto che il suo nome è ancora oggi legato al piatto italiano più famoso al mondo: la pizza margherita.

Regina d’Italia al fianco di Umberto I dal 1878 al 1900, Margherita di Savoia divenne una delle icone più rappresentative e amate della monarchia sabauda.

Quali sono le ragioni di tanto successo? Un’ineguagliabile “professionalità” nel gestire la propria immagine e un talento naturale nelle pubbliche relazioni.

JOINT VENTURE DINASTICA.

Nata a Torino nel 1851, la futura regina era figlia di Elisabetta di Sassonia e del duca di Genova Ferdinando di Savoia, fratello dell’allora sovrano di Sardegna Vittorio Emanuele II. Quando aveva 10 anni, l’illustre zio divenne il primo re d’italia, e presto si pose il problema di trovare una sposa adatta al giovane erede al trono, Umberto. «Dopo vari tentennamenti, la scelta cadde sulla principessa Matilde d’asburgo-teschen, ma a pochi mesi dalla cerimonia la promessa sposa morì in un incendio», racconta Luciano Regolo, autore del libro Margherita di Savoia, i segreti di una regina (Edizioni Ares). «Fu allora che entrò in scena Margherita, cugina di Umberto, ritenuta la moglie “giusta” perché già educata secondo le consuetudini di casa Savoia». Orfana di padre, la giovane aveva all’epoca 16 anni (7 in meno del consorte) e il physique du rôle perfetto: raffinata, intelligente e di bell’aspetto, con lunghi capelli biondi e intensi occhi azzurri. Con Umberto si sposarono a Torino nel 1868, e dopo le nozze intrapresero un tour della Penisola per “sponsorizzare” la neonata monarchia nazionale, guidata da Vittorio Emanuele II senza una regina al fianco (sua moglie Maria Adelaide d’Austria era morta nel 1855).

Al di là delle apparenze, però, il loro non fu un matrimonio d’amore, ma una joint venture dinastica. Donnaiolo impenitente, Umberto tradì spesso la moglie e rimase per tutta la vita innamorato della contessa Eugenia Bolognini Litta Visconti, rischiando di gettare un’ombra sull’immagine della famiglia reale. Margherita imparò tuttavia a tollerare le intemperanze del consorte, costruendo con lui un’intesa quasi fraterna, e arrivò a permettere alla rivale di vegliare la salma del marito, dopo la sua morte. Ma anche lei ebbe un flirt extraconiugale tollerato da Umberto: si innamorò del barone Luigi Beck Peccoz, con cui costruì un’intensa sintonia negli ultimi anni della permanenza sul trono.

PERFEZIONISTA.

Sentimenti a parte, la giovane principessa si gettò subito anima e corpo nel ruolo di “prima dama d’Italia”, accattivandosi sia le simpatie degli aristocratici sia quelle dei futuri sudditi. Come? Curò con estrema attenzione la sua immagine pubblica in modo da non apparire mai fuori luogo. «Prima di ogni viaggio ufficiale, si informava sulle usanze delle donne del popolo, vestendosi come loro e iniziando così un processo che porterà in seguito tutte le italiane a identificarsi in lei», afferma l’esperto. «Alla vigilia del trasloco a Napoli, dove i neosposi si trasferirono subito dopo il matrimonio, volendo mostrarsi radicata nelle tradizioni partenopee arrivò persino a prendere lezioni di mandolino, imparando alcune canzoni napoletane». Se per piacere alla gente comune partecipava a feste e raduni o presenziava a iniziative di carità, per conquistare gli aristocratici organizzava balli, concerti e letture, sfruttando gli eventi mondani per radicare il consenso attorno alla dinastia regnante. E non fu certo un compito facile: a Napoli, parte dell’aristocrazia era ancora filo-borbonica e a Roma, solo nel 1870 annessa al Regno d’italia, la cosiddetta “nobiltà nera” rimaneva fedele al Papa. Per vincere ogni diffidenza la principessa ricorse a un mix di diplomazia e charme, mostrando innate doti da comunicatrice, e costruì una fitta rete di relazioni. Alla fine, l’“operazione popolarità” riuscì alla perfezione e dopo l’ascesa al trono di Umberto, nel 1878, la fama della nuova regina non fece che crescere. Durante una visita dei reali a Napoli, Raffaele Esposito inventò la pizza “tricolore” e la chiamò Margherita

TUTTI PAZZI PER LEI.

«La suggestione nei confronti di Margherita diede vita al cosiddetto “margheritismo”, un fenomeno di costume che alla fine del XIX secolo influenzò diversi ambiti della vita sociale, in primis la moda», spiega Regolo.

«Da sempre appassionata di abiti e gioielli, per cui spendeva cifre immense, la regina divenne infatti un’icona di stile, tanto che una delle prime riviste di moda del Paese si chiamerà in suo onore Margherita, il giornale delle signore italiane». Nel frattempo le venne intitolato un po’ di tutto, da nuove pietanze a rifugi alpini. In altri casi, invece, era lei stessa a importare usanze divenute poi patrimonio collettivo, come quella dell’albero di Natale, allestito da Margherita per la prima volta nelle sale del Quirinale a imitazione di quanto avveniva nelle corti nordeuropee. A differenza del marito, per nulla interessato alla cultura e spesso impacciato nei rapporti personali, la regina dimostrò inoltre un’innata curiosità verso molte discipline, dalla musica classica alla letteratura, passando per la scienza e lo spiritismo. Le porte del suo salotto si aprirono quindi a poeti, intellettuali e musicisti, che ricambiarono le attenzioni di sua maestà con lodi piene di retorica. Persino un fervido repubblicano come Giosuè Carducci rimase affascinato da quella che definì la bionda e gemmata sovrana e le dedicò un’ode intitolata Alla regina d’Italia (1878), che gli attirò critiche feroci negli ambienti anti-monarchici. Con alcuni dei suoi ammiratori, tra cui lo stesso grande poeta toscano e soprattutto Marco Minghetti, suo insegnante di latino, la regina intrattenne anche intensi rapporti epistolari.

MAMMA TIGRE.

Entrata nell’immaginario collettivo come incarnazione delle virtù femminili, Margherita si cucì addosso la fama di “mamma” d’Italia e presto fioccarono aneddoti per esaltarne l’istinto materno. Eppure, nei rapporti con il figlio, il futuro re Vittorio Emanuele III (venuto alla luce nel 1869), fu una madre molto diversa da quella raffigurata nella propaganda. Anzi, scaricò su di lui il suo maniacale perfezionismo. «Margherita visse sempre un profondo senso di colpa per il fatto che Vittorio soffrisse di una forma di rachitismo che, ai suoi occhi, lo rendeva inadatto a rappresentare degnamente la dinastia», spiega Regolo. «Con l’intento di forgiare il carattere dell’erede al trono, pretese quindi che eccellesse in tutto a dispetto dei suoi limiti fisici. Nella psiche del principe ciò ebbe effetti devastanti e gli provocò insicurezze e complessi».

VEDOVA.

Nei 22 anni in cui affiancò Umberto sul trono, Margherita non rimase indifferente agli eventi esplosivi che scossero il Paese, segnato da agitazioni popolari e dalla nascita dei primi movimenti operai. Le tensioni culminarono il 29 luglio del 1900 con l’uccisione di Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Un evento drammatico a cui la regina reagì con estrema teatralità. Raccolse per esempio gli abiti insanguinati e in seguito anche il proiettile e le fece conservare in un cofanetto in ebano, come si sarebbe fatto con le reliquie di un santo; e contribuì alla creazione del mito del “re martire”, alimentato dai giornali dell’epoca.

CONSERVATRICE.

Nonostante le opinioni fortemente conservatrici, Margherita rimase per molti aspetti una donna moderna», continua l’esperto. «Divenne per esempio una pioniera dell’automobilismo, guidando personalmente le vetture e creandosi un leggendario “parco auto”».

Come regina madre, si eclissò solo in apparenza, continuando a incontrare personalità illustri, tra cui Maria Montessori, a organizzare eventi mondani e a svolgere attività di beneficenza. Il palazzo nel quale si ritirò, a Roma, oggi sede dell’ambasciata americana, sostituì la reggia del Quirinale, utilizzata pochissimo da Elena e Vittorio Emanuele III, la nuova coppia reale. E la “connessione sentimentale” con gli italiani rimase viva fino al momento della morte, giunta a Bordighera il 4 gennaio 1926, quando la regina madre aveva 74 anni. Il treno che la riportò a Roma si dovette fermare ben 92 volte per permettere alla folla di porgerle l’estremo saluto. Senza giri di parole, il Corriere della Sera scrisse che la sua salma era “ormai assurta a simbolo”.

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